Somministrazione di alimenti e bevande: i limiti, le condizioni e i vantaggi fiscali previsti dal Codice del Terzo Settore
Le Associazioni di Promozione Sociale (APS) possono svolgere attività di somministrazione di alimenti e bevande presso la propria sede senza che questa venga considerata attività commerciale — a patto che vengano rispettate alcune precise condizioni fissate dal Codice del Terzo Settore (art. 85, comma 4, D.Lgs 117/2017).
In altre parole, il classico bar interno o punto di ristoro dell’associazione può essere escluso dalla tassazione se rappresenta un servizio complementare e rivolto esclusivamente a soci e familiari conviventi.
⚖️ Il riferimento normativo: l’articolo 85 del Codice del Terzo Settore
Secondo il decreto, l’attività di somministrazione non è considerata commerciale anche quando prevede un corrispettivo specifico, a condizione che:
1️⃣ sia strettamente complementare alle attività istituzionali e svolta solo nei confronti di soci e loro familiari conviventi;
2️⃣ non sia pubblicizzata o promossa verso l’esterno, ossia non venga in alcun modo rivolta a soggetti terzi o al mercato.
L’obiettivo del legislatore è chiaro: garantire alle APS la possibilità di offrire un servizio interno di ristoro per i propri associati — utile, accessorio e coerente con la vita associativa — ma senza trasformarlo in un’attività di tipo commerciale.
☕ Quando il punto ristoro è “complementare”
La somministrazione di alimenti e bevande non rientra tra le attività istituzionali dirette, ma può essere considerata complementare se contribuisce al miglioramento delle condizioni in cui si svolgono le attività dell’associazione.
Esempio: un circolo culturale che gestisce un piccolo bar interno per offrire ai propri associati un momento di socialità durante eventi, incontri o attività ricreative.
In questo caso, il servizio favorisce la partecipazione e la permanenza dei soci, senza generare un’attività di impresa.
🚫 No alla pubblicità e all’apertura verso terzi
Elemento cruciale della norma è il divieto di pubblicità o promozione esterna.
L’attività deve restare confinata all’interno del contesto associativo: niente cartelli promozionali, pagine social dedicate, offerte pubbliche o aperture a clienti non soci.
Infatti, la presenza di soci e familiari conviventi può essere verificata anche mediante la presentazione dello stato di famiglia, così da attestare il diritto di accesso al servizio.
Qualsiasi somministrazione di alimenti e bevande effettuata nei confronti di soggetti esterni o pubblicizzata al pubblico costituisce invece a tutti gli effetti attività commerciale, soggetta a tassazione ordinaria.
💡 I punti chiave per le APS
✅ L’attività deve essere complementare alle finalità istituzionali.
✅ Il servizio deve essere riservato esclusivamente a soci e familiari conviventi.
✅ Nessuna pubblicità o comunicazione verso l’esterno.
✅ La sede deve coincidere con il luogo in cui si svolgono le attività associative.
✅ I corrispettivi specifici possono essere richiesti, ma non configurano reddito d’impresa se rispettate le condizioni di legge.
🏛️ Una norma di continuità e tutela
L’articolo 85 del Codice del Terzo Settore riprende integralmente le disposizioni previgenti, confermando l’orientamento che tutela la natura non lucrativa delle APS.
Si tratta di un equilibrio delicato tra il diritto alla socialità e la necessità di evitare fenomeni di concorrenza sleale con le attività economiche tradizionali.
Per gli enti associativi, rispettare queste regole significa mantenere la decommercializzazione dell’attività, preservare i benefici fiscali e garantire la coerenza statutaria con le finalità del Terzo Settore.
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💼 Quando, invece, il punto ristoro diventa un’attività commerciale
Il bar o punto ristoro gestito da una Associazione di Promozione Sociale (APS) perde la natura di attività complementare — e quindi i benefici fiscali previsti dal Codice del Terzo Settore — quando vengono meno anche solo alcune delle condizioni fissate dall’art. 85, comma 4, del D.Lgs. 117/2017.
In particolare, l’attività è considerata commerciale (e dunque soggetta a IVA, imposte dirette e obblighi contabili) nei seguenti casi:
1️⃣ Somministrazione rivolta a soggetti esterni
Se l’associazione serve alimenti o bevande anche a non soci, ospiti occasionali o clienti esterni, l’attività perde automaticamente la sua natura “interna” e assume le caratteristiche di un pubblico esercizio.
In tal caso, i corrispettivi incassati costituiscono a tutti gli effetti ricavi commerciali, con conseguente obbligo di emissione di scontrini o ricevute fiscali, tenuta della contabilità e dichiarazione dei redditi.
2️⃣ Utilizzo di strumenti pubblicitari o promozionali
L’uso di strumenti di promozione o pubblicità (cartellonistica, social media, volantini, siti web, campagne locali) è espressamente vietato.
Anche un semplice post pubblico che invita chiunque a partecipare o usufruire del bar può configurare diffusione verso terzi e quindi rendere l’attività imponibile ai fini fiscali.
3️⃣ Gestione separata e non coerente con l’attività istituzionale
Se la gestione del punto ristoro è affidata a soggetti terzi (ad esempio, a un gestore esterno con compenso o percentuale sugli incassi) oppure se il bar diventa un’attività economicamente autonoma rispetto alla vita associativa, viene meno il requisito della complementarità rispetto alle finalità istituzionali.
Questo comporta l’inquadramento come attività economica a fini di lucro, con tutte le conseguenze fiscali e amministrative del caso.
4️⃣ Mancanza di documentazione sui soci e familiari conviventi
La mancata verifica della qualità di socio o familiare convivente (ad esempio tramite elenco soci aggiornato o stato di famiglia) espone l’associazione al rischio di accertamenti fiscali.
In caso di controlli, l’Agenzia delle Entrate può presumere che il servizio sia stato reso anche a terzi e quindi riqualificare retroattivamente l’attività come commerciale, con sanzioni e recupero d’imposta.
⚠️ Le conseguenze fiscali
Una volta considerata commerciale, l’attività di somministrazione di alimenti e bevande comporta:
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tassazione ai fini IVA e IRES/IRAP;
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obbligo di emissione dei documenti fiscali (scontrini o fatture elettroniche);
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tenuta della contabilità separata rispetto all’attività istituzionale;
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dichiarazioni fiscali periodiche e possibile perdita delle agevolazioni ETS;
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eventuale iscrizione al Registro delle Imprese se l’attività diventa prevalente.
Resta che anche le APS possono svolgere attività commerciale, l’importante è che i ricavi e le entrate derivanti dalle attività commerciali non siano superiori al 50% delle entrate generali dell’Associazione.
In tal caso, si sfruttano le agevolazioni fiscali previste dal CdTS le quali prevedono una redditività, per le APS, del 3%.
In sintesi
Il confine tra “attività complementare” e “attività commerciale” è sottile ma decisivo.
Il bar interno di un’APS può rappresentare un prezioso strumento di aggregazione e socialità, ma deve sempre restare un servizio al socio e non al pubblico.
Superata questa linea, l’associazione entra nel campo dell’impresa e ne assume tutti gli oneri fiscali, contabili e amministrativi.